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panoramica

Mestieri e tradizioni della civiltà contadina

Per seguire un percorso logico, bisogna seguire il tragitto che meglio illustri quanto realizzato partendo dal murale di Rosario Casano allocato su una parete della casa di Via Libertà. Il soggetto è la figura classica del maniscalco che, un tempo, proprio all’inizio del paese, accoglieva i viaggiatori che potevano aver bisogno della sua opera per ferrare un cavallo o riparare la ruota di un carro. Fare un parallelo con quanto accade oggi, col fatto cioè che all’inizio dei nostri paesi esistono le officine e i gommisti, è fin troppo facile. Ultimo restauro nel 2007 per opera di Claudia Campo. La visita a questo murale consente di ammirare la “fontana di lu ponti” realizzata nella seconda metà dell’ottocento e ancora in buono stato di conservazione.

 

casano

A circa 40 metri da quello prima illustrato, sempre sulla Via Libertà, c’è un murale realizzato a quattro mani da Angela Tusa e Daniela Mercadante (madre e figlia) che mostra con grazia impareggiabile un momento della vita casalinga. La ragazza da marito intenta a ricamare sull’uscio, la sorella minore che tenta di rubarle la scena da dietro la tenda, alla finestra una terza sorella che guarda i passanti, sullo sfondo la madre che asciuga i piatti. A ben guardare ci si può immaginare tutto di quella famiglia: Il capo famiglia è al lavoro nei campi; la figlia che ricama è forse la maggiore che rischia di rimanere zitella (fa vedere di avere pronto il corredo); la più piccola ha forse un filarino e non vuol stare lontano dall’uscio; quella più tranquilla sta alla finestra: il ragazzo ce l’ha, fra poco passerà, e non le resta che aspettare che “la grande” si sposi per poi sposarsi a sua volta. Ultimo restauro per opera delle stesse artiste nel 2007.

 

fimmini

A circa 80 metri, proseguendo per la via principale verso il Municipio, su una parete della casa sita in Via Garibaldi, è stato realizzato da Vito Criscenti Dovital, un murale sul lavoro dei campi per antonomasia: la vendemmia. Il volto dei vendemmiatori e i loro muscoli contratti nel trasporto delle ceste d’uva esprimono la fatica ma anche la soddisfazione per il frutto ottenuto. Ultimo restauro per opera dello stesso artista nel 2007.



A pochi passi, quasi ad angolo della Via Matteotti, è stato realizzato da Salvatore Sturiano un murale che riporta alla memoria il mestiere dell’acquaiolo. Quello che andava ad attingere l’acqua alle fontane e la trasportava in casa dei più abbienti che delegavano ad altri questa umile incombenza. Proprio sopra allo stipite in gesso all’interno del quale è stato realizzato il murale, c’è un esempio ormai in disuso di una tecnica di costruzione dei tempi passati. Potrete notare che da sotto il balcone in pietra fuoriesce, quasi in posizione centrale, un tubo di terracotta che aveva la funzione di far defluire all’esterno l’acqua usata per lavare la casa senza bisogno di aprire le imposte. Ciò perché in particolari circostanze non era opportuno che la padrona di casa avesse un sia pur minimo contatto col mondo esterno: un lutto stretto, una gestazione molto avanzata ecc. Alcuni pensano che tale uso provenga dagli arabi popolazione che, notoriamente, tiene in gran conto la riservatezza muliebre.

Di nuovo in Via Garibaldi, a 30 metri c’è lo spazio creatosi in seguito alla demolizione post terremoto di alcune case. All’interno di quelli che furono gli archi portanti realizzati in pietra di gesso abilmente sagomata da provetti scalpellini, sono stati realizzati due pregevolissimi murales. Il primo, di Daniela Mercadante mostra un ciabattino sull’uscio intento al suo lavoro. Lo affianca la sua giovane moglie che ormai ha finito di rassettare la linda casetta il cui interno è stato pittoricamente realizzato su quella che è una serranda metallica!
Il secondo, realizzato da Giovanni Bevilacqua, mostra un fabbro ferraio che lavora, aiutato da un garzone. Sono da notare: l’abilità dell’A. nel mostrare prospetticamente una scena che avviene su più piani; il sapiente gioco di luci che meglio di tutto mostra la durezza del lavoro, il peso della fatica; la tonalità dei colori che ci trasmette l’atmosfera in cui la scena si svolge.

Al centro di questi due bellissimi murales, in alto su una parete e all’interno di quella che fu una nicchia votiva alla fine di una scala orma inesistente, è stata realizzata da Enza Genna l’immagine della Madonna di Tagliavia a cui tutti i vitesi sono devoti. La realizzazione è stata seguita con attenzione da parecchi concittadini perché l’A. si trovava appollaiata su una intelaiatura metallica e anche perché nessuna interpretazione artistica sarebbe stata accettata se diversa dall’iconografia ufficiale. Il risultato è stato apprezzato da tutti con l’entusiasmo che merita e ormai sono in parecchi i vitesi che, passando, elevano una preghiera.

Appena svoltato l’angolo, all’interno di uno stipite in “pietra campanedda”, Stefano Monacò ha realizzato un delizioso murale che mostra una linda vecchina sull’uscio di casa. La veridicità dell’immagine è tale che sono fioriti numerosi aneddoti: quello del piccione che testardamente voleva entrare volando ed è finito a terra tramortito; quello del cane che passando abbaia furiosamente; quello (riferito ai primi giorni) in cui molti passanti distratti le rivolgevano un saluto!

All’interno dello stipite della porta adiacente, Angela Tusa ha realizzato un murale che ritrae la stanza di una casa contadina. I colori vivaci danno una tipicità mediterranea a tutta la scena così come il paniere colmo di limoni in primo piano.

Poco più avanti, ma dall’altro lato della strada è stato realizzato un murale che ritrae un tranquillo panorama agricolo. L’autore Giovanni Garriglio riesce a trasferire la solarità dei nostri campi e la loro diversa tipologia colturale: i seminativi, i vigneti, gli oliveti, si susseguono scavalcando colline e vallate.

Bisogna percorrere 30 metri, sempre nella Via Garibadi, e, in basso sulla destra, c’è un delizioso murale realizzato da Teresa Mannone con la tecnica “a spatola” che mostra un momento di gioioso gioco di un bambino con un cane. Ultimo restauro nel 2007, per opera della stessa artista.

Basta girare l’angolo e si scende in Via Oberdan. Sulla sinistra e all’interno di uno stipite in pietra di gesso, c’è un murale che mostra l’interno della casupola di un pastore con il pentolone del latte fumigante e ormai pronto a dare la ricotta.

Subito dopo un altro murale di Teresa Mannone, anch’esso all’interno di uno stipite in pietra di gesso ben conservato, che mostra una vecchina intenta a lavorare a maglia. Ultimo restauro nel 2007, per opera della stessa artista.

 

Sempre in Via Oberdan, pochi metri più avanti ma sul lato sinistro della strada, c’è il murale realizzato da Graziella Pagoto che mostra una donna anziana che fila la lana per la tessitura davanti ad un camino scoppiettante. I colori scelti dall’autrice consentono quasi di percepire il calore che l’immagine emana.

Qualche metro più avanti ancora un delizioso piccolo murale di Teresa Mannone che mostra una mamma che fa le coccole al suo bambino che tiene sollevato con le braccia. Anche questo è realizzato con la tecnica a spatola ed è incorniciato dalle pietre di gesso che formavano lo stipite di una finestra.

Ancora qualche metro e, sempre sul lato sinistro, all’interno di uno stipite in pietra campanedda, Stefano Monacò ha realizzato un murale che mostra un anziano intento, sull’uscio di casa, a lavorare le foglie della “giummara” (palma nana) per poi realizzare le scope. Questa forma di lavoro rappresentava una volta una sorta di passatempo per le lunghe serate invernali attorno ad un braciere. Era il lavoro svolto dal nostro poeta dialettale Bernardo Scalisi che con i frutti di tale occupazione sbarcava il lunario.
Da notare che questi ultimi tre murales sono realizzati sulla facciata della costruzione che un tempo ospitava l’ospedale San Giuseppe. Per ammirarne i portoni centrali, tutti in sfavillanti pietre di gesso, occorre percorrere appena 10 metri e trovarsi così in Via Roma. Altri 10 metri e, verso sinistra, troverete i resti di quella che fu una importante fontana che, dalla parte alta del paese dove era la sorgente, portava l’acqua al popoloso quartiere di Via Roma e Via Riso. Se così avrete fatto, vi trovate all’angolo di via Cesare Battisti (parallela di Via Oberdan) e dovete risalirla per tutti i 50 metri della sua lunghezza. Così facendo vi troverete di nuovo in Via Garibaldi.

Proprio di fronte a voi trovate il murale realizzato da Michele Purracchio che mostra quello che da dentro la casa contadina si vedeva al mattino: il padre che si avvia al lavoro dei campi portando in spalla la zappa. Il murale è realizzato all’interno dello stipite della porta dove un tempo era ubicata la “putìa di li Pecorella”.

Continuando per Via Garibaldi, a meno di 20 metri, c’è un gruppo di tre murales. Il primo di Graziella Pagoto, mostra un vasaio all’opera; il secondo, realizzato da Michele Purracchio, mostra dei vasi ad asciugare con sullo sfondo il paesaggio agreste delle nostre colline. Entrambi sono realizzati all’interno degli stipiti in pietra di gesso che racchiudevano l’ingresso di “la putìa di Don Zulu”. Sono stati restaurati ambedue per opera degli stessi artisti che li hanno realizzati nel 2009. Il terzo, realizzato sul lato opposto della strada, sulla parete della Chiesa del Purgatorio, è stato allocato su quella che una volta era la porta di accesso alla Chiesa e che, con dei gradini, consentiva l’accesso direttamente dalla Via Garibaldi. Il soggetto scelto da Enza Genna è stato San Vito, Patrono del nostro Comune, ed è stato realizzato con una maestria notevolissima.
La Chiesa del Purgatorio, resa inagibile dal terremoto del 1968, è stata successivamente restaurata ma non riaperta al culto. Al suo interno vengono realizzate delle manifestazioni religioso-culturali. Il restauro ha ripristinato la struttura, gli stucchi originali e i locali annessi alla Chiesa. Di particolare interesse la piccola scala a chiocciola che porta alla torre campanaria realizzata “alla trapanese” con gradini in pietra che si autoreggono.

Proprio ad angolo con la Chiesa del Purgatorio c’è Via Mazzini e, salendola per pochi metri si possono ammirare altri tre murales. Il primo, all’interno di uno stipite di pietra campanedda e realizzato da Giovanni Bevilacqua, mostra l’interno di un laboratorio di un vasaio. Anche in quest’opera l’A. raggiunge livelli artistici elevatissimi con il gioco di luci ed ombre che consentono al visitatore di “immettersi” nell’opera. Ultimo restauro nel 2007, per opera dello stesso artista.

 

bevilacqua vasaio


Il secondo, sul lato sinistro della via e all’interno di uno stipite in pietra di gesso, è stato realizzato da Rosario Casano e mostra un fabbro che riposa sull’uscio della sua bottega. A ben guardare si scopre il motivo della sua inattività: per terra c’è una pubblicità che invita ad acquistare un’automobile Fiat.

 

Il terzo, sempre di Rosario Casano ma realizzato all’interno di uno stipite di una finestra in pietra di gesso, mostra l’interno di una osteria con l’oste ed alcuni avventori che il passante può sbirciare come se veramente oltre la finestra ci fosse un’osteria.

 

casano tavernaro


Ritornati in Via Garibaldi e fatti pochi passi, proseguendo verso sinistra e in alto rispetto alla sede stradale, c’è il murale realizzato da Giovanni Garriglio che ritrae una figura artigianale scomparsa da tempo: “lu conza lemma” chi, cioè, riparava le stoviglie di terracotta che si rompevano per l’uso quotidiano. Come è evidente un mestiere lontano anni luce dal consumismo attuale ma che è stato riportato alla memoria di tanti nostri concittadini avanti negli anni tra lo stupore incredulo dei nostri giovani.

Meno di 10 metri vi separano dal murale realizzato su una parete di una abitazione privata da Giuseppe Sansica. Mostra una piazzetta con le caratteristiche occupazioni di coloro che vi abitano: il ciabattino accanto al suo desco, le comari intente a spettegolare, la lavandaia che fa il bucato. L’ottima scelta dei colori rallegra la piccola piazzetta acciottolata che lo accoglie. Ultimo restauro nel 2009, per opera della stessa artista.


Continuando per Via Garibaldi, a circa 60 metri, sulla destra e sulla parete di un’altra abitazione privata, è visibile il grande murale realizzato da Vito Crescenti Dovital. La scena mostrata è quella di una angolo di paese dove le donne attingono l’acqua ad una fontanella, un uomo è seduto al tavolino di un bar e si ristora, le case e il campanile di una chiesa fanno da sfondo.

A pochissimi metri e su uno spazio ricavato su un muro che delimita l’area di risulta di alcune abitazioni demolite dopo il terremoto del 1968, Vincenzo Pellegrino ha realizzato il murale intitolato: la mietitura. I colori usati, la rappresentazione senza volto della figura che miete e il cielo nero illuminato da fiammelle che ad un primo sguardo possono dare una visione pessimistica, a ben guardare, ci ricordano che tutte le umane cose sono destinate a finire sotto la falce che nulla risparmia e, in quanto ineluttabile, foriera di serenità.

Più avanti, quando la Via Garibaldi diventa Via Dei Mille e dopo la fontana “dell’acqua nuova” (300 metri) c’è il murale realizzato da Vito Criscenti Dovital sulla parete del mulino. Si tratta di una donna intenta ad infornare il pane. Questo è stato il primo murale ad essere realizzato e suscitò nei vitesi grande attrazione il vedere come dall’abilità dell’A. venissero fuori tante immagini. Ad un certo punto l’A. ha dovuto interrompere la sua opera e spiegare ai numerosi presenti che non intendeva ritrarre nessuna donna del luogo e che qualsiasi somiglianza era da considerare casuale (si era acceso un dibattito tra i presenti che attribuivano nomi diversi alla donna rappresentata sulla base di vere o presunte somiglianze, e vere o presunte caratteristiche anatomiche).

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