U Zù Nicuzzu Isca

Chiù la tiri, chiù s’accurza. Socch’è?

Rifletto un attimo. Lui mi osserva con i suoi occhioni azzurri, cristallini e gentili, che socchiude fino a formare due piccole fessure, continuandomi a scrutare come se in questo modo mi potesse trasmettere tutto il suo sapere solo con uno sguardo, per suggerirmi la risposta.

Ma questa è abbastanza semplice, ed io, essendo circondata da fumatori, incrocio lo sguardo complice di Ciccio e Luca, miei colleghi, per cercare il loro consenso, che trovo: “La sigaretta?”.

U zù Nicuzzu, che ci tiene ad essere chiamato “zio” anche se tra noi non c’è alcun legame di parentela, si illumina e sfoggia un sorriso grande ed orgoglioso. “Bravissima!”, e nel frattempo sorseggia il caffè della nostra macchinetta, che sta gustando lentamente.

“Per me il caffè è un piacere. Non ne posso prendere troppi, ma quello vostro è buonissimo e non riesco a dire di no!”. Fa una pausa. “Forse perché…la cosa importante, quando si beve un caffè, è la compagnia con cui lo si fa. E a me la vostra compagnia piace tantissimo!”.

Io nel frattempo pongo le belle peonie che ci ha portato, dentro un vaso recuperato all’interno della nostra sede Pro Loco. Le ha raccolte personalmente qualche ora prima nel suo giardino, che cura con amore e impegna buona parte delle sue giornate.

“Virdi nascinu, russi pascinu e nivuri morinu. E chissi soccu su?“. Stavolta mi ha spiazzata. Lui sorride: è felice di stuzzicarmi. Porta una mano in tasca: “Pensaci, ecco qua un cioccolatino, così il ragionamento si fa più dolce!”. Sono ormai mesi che mi conosce e sa bene che io non bevo caffè, ma sa altrettanto bene che mi piacciono i dolcini, e non si fa mai trovare impreparato. Lo ringrazio con un abbraccio ed un sorriso che, per quanto grande, non sarà mai quanto il suo.

“Questo è un piccolo gesto per ringraziarvi del tempo che mi dedicate, picciotti. A me dispiace se a volte vi disturbo, ma io non sono il tipo che passa le sue giornate al bar con i coetanei. Io ho sempre lavorato nella mia vita, e da quando sono in pensione non riesco a stare con le mani in mano. Intreccio “giummare” e realizzo oggetti. Mi piace stare in compagnia dei giovani, tramandare quello che so: gli indovinelli e l’arte dell’intreccio. Mi fa tanto piacere quando vengo invitato nelle scuole a mostrare quello che so fare. Però mi rendo conto che voi state lavorando qua, e vi distraggo.”

Ma u zù Nicuzzu in realtà non disturba mai: è sempre discreto e porta con sé una ventata di tenerezza.

“Ci hai pensato?” mi chiede. Io mi confronto ancora una volta con i miei amici, seduti alle postazioni computer di fronte a me, ma stavolta nessuno di noi ha una risposta.

“Rifletteteci: qualche volta li ho anche portati!”. Ma in questo modo il cerchio di possibilità, invece di restringersi, si allarga, perché lui in questi mesi dal suo orto ci ha portato di tutto: ciliegie, uva, albicocche, limoni, amarene, uova, marmellate, dolci fatti in casa da sua moglie…

Furbo, posa per un attimo il suo sguardo su una piccola, quasi impercettibile macchia rossa sulla sua camicia. “Stamattina li ho raccolti, se indovinate questo pomeriggio ve li porto. A mia nipote Daniela piacciono un sacco!”.

Ci siamo! Quelle macchie sui vestiti dalle nostre parti significano solo una cosa: “Gelsi rossi! ” diciamo in coro io e i ragazzi. Lui alza le braccia, in segno di vittoria, felice.

Si dirige verso la porta: “E’ sempre un piacere passare il tempo con voi. A più tardi, amici miei! “.

E si incammina verso casa…

Jeannette Tilotta