“Peppone!”
E si voltava a guardarci con gli occhi più furbi e sorridenti che abbia mai conosciuto in vita mia.
Lui era lì, ogni pomeriggio. Era una costante, una di quelle certezze che ti fanno stare bene, che ti fanno sentire protetto perché sai che certe cose non cambieranno mai.
Quel circolo ricreativo era il suo svago pomeridiano da sempre, un appuntamento inevitabile al quale non sarebbe mai mancato se non per un avvenimento davvero grave. E purtroppo lui di avvenimenti gravi ne aveva vissuti parecchi, troppi, ma li aveva sempre superati con la grande caparbietà che lo contraddistingueva.
Sapeva che in quel modo poteva chiamarlo solo una persona: “so ennaru” Nino, che lo diceva con tutto l’affetto possibile. Il loro era un continuo battibeccarsi, una presa in giro vicendevole continua, ma sempre con intelligenza ed immenso amore. Solo con lui aveva un’intesa così forte e in lui trovava quasi sempre l’alleato perfetto per le sue marachelle, per togliersi gli sfizi.
<<Eh, sangu meu, ciao!>> rivolgendosi a me e mia sorella, che subito si sedeva accanto a lui per una briscola. Io invece, dopo averlo baciato, preferivo stare ad osservarlo: era felice, nel suo mondo, con i suoi amici di sempre a parlare di fatti che riguardavano Vita. Ed io ero felice per lui ed i suoi piccoli momenti di serenità.
Quanto sarebbe stato contento di sapere che ho trascorso un intero anno alla Pro Loco Vitese! Lo avrebbe detto e ripetuto giornalmente a tutti!
Sono stata la sua prima nipote e ha sempre avuto un debole per me. Quando mi parlava, si sforzava di non farlo in dialetto, spesso inventando un italiano improponibile ma adorabile allo stesso tempo. Era orgoglioso del fatto che studiavo all’Università: <<Tanuzzu, diccillu a idda chi sturìa legge pi addivintati avvocatu! Diccillu soccu ti cuminaru, chi idda ti po’ aiutare!”>>, come se io al secondo o terzo anno di Giurisprudenza avessi già potuto risolvere i problemi di confini di terreno dei suoi amici!
Già, il terreno, una delle altre cose cui lui teneva di più: tutti i giorni, a prescindere dal clima o dai suoi dolori alle ginocchia, lui andava in campagna a curare l’orto, innaffiare le piante e dar da mangiare alle galline… tutte fatiche che poi venivano ripagate dai nostri apprezzamenti a tavola, dopo che con cura e pazienza cucinava per noi i suoi prodotti genuini.
Sua moglie, da sempre malata, non ha mai nemmeno saputo accendere il gas, per cui lui si è sempre dato da fare prendendosi cura della casa e della famiglia: il meraviglioso brodo di mio nonno è uno di quei sapori che non gusterò mai più nella mia vita!
Era simpatico, conosciuto da tutti in paese. Testardo, e questa testardaggine gli ha salvato la vita in più di un’occasione, perché non si arrendeva mai!
Gli ultimi anni era solito camminare con il suo scooter elettrico rosso, e si fermava in mezzo alla strada suonando insistentemente il clacson finché qualcuno non gli dava una mano per fare la spesa, comprare dolci (era golosissimo, caratteristica che io ho ereditato!) o andare in farmacia.
Non era un uomo semplice, sicuramente, ma era un personaggio particolare, uno di quelli di cui potrei scrivere una collana di libri intera, uno di quelli che rendono vivo il paese, che se lo incontri per la prima volta pensi che sarebbe bello se fosse tuo nonno, e per fortuna, nel mio caso, lo è stato: il mio adorato nonno Mirlocca!
Jeannette Tilotta