Il Dottore Buffa

Quasi sempre il vivere fuori ti fa apprezzare ancora di più il tuo paese natio.

Lui sentiva di appartenere a Vita con orgoglio, molto più della maggior parte dei vitesi stessi. Ormai anziano ed ipovedente, si faceva descrivere dalla moglie le fotografie che gli venivano inviate di quella che aveva sempre sentito essere casa sua, e ogni volta gli scendeva una lacrima.

Nel parlarmi del Dottor Francesco Buffa, Maria si commuove, rammaricata del fatto che io non abbia avuto la fortuna di conoscerlo personalmente.

Tengo tra le mani il suo lunghissimo curriculum vitae: dopo la laurea in Medicina e Chirurgia, ottenne un trasferimento di sette anni a Mantova, vinse il concorso come Direttore Sanitario dell’ospedale di Agrigento, per poi diventare Sovrintendente Sanitario degli Ospedali Riuniti di Pesaro e Direttore Sanitario dell’Ospedale “San Salvatore”.

Il curriculum racchiude anche una raccolta di articoli che ha scritto nel corso della sua carriera per riviste scientifiche di portata nazionale ed internazionale. Di fronte a me, invece, una particolarissima collezione di cavalli in miniatura: quasi trecento pezzi, di ogni forma, materiale e dimensione, di cui lui era appassionato fin da bambino e che considerava uno dei suoi tesori più grandi.

L’amore per il suo paese di origine, ove non potè vivere a lungo per motivi lavorativi, fu talmente forte da decidere di donare quella sua tanto cara collezione al Comune di Vita in occasione del quattrocentesimo anniversario dalla sua fondazione.

Leggendo tra i suoi scritti, oltre ad essere colpita dalla sua immensa cultura e capacità descrittiva, non posso fare a meno di notare come fosse addolorato per le condizioni insalubri in cui si trovava Vita negli anni ‘950 circa: come tutti i centri rurali nel dopoguerra, era costituito da case fatiscenti e pericolanti, realizzate con materiali di scarsa qualità, senza latrine, con le mura rovinate dall’umidità e le cui stanze erano sovraffollate e piene di insetti e batteri. Le malattie proliferavano e mietevano incontrastate le loro vittime.

Come poteva, proprio la sua amata terra, rimanere in queste condizioni? Come avrebbe potuto cambiare le cose un uomo come lui, da lontano? Con le uniche armi che aveva a disposizione: proprio le pubblicazioni scientifiche, attraverso le quali denunciava quelle condizioni deplorevoli, portando dei casi concreti di compaesani che si era ritrovato a curare mentre esercitava la professione medica come Ufficiale Sanitario, e sollecitando chi di dovere a far qualcosa per cambiare la situazione.

Era un uomo riservato e discreto, ma gentile e sempre disponibile a scambiare quattro chiacchiere, specie quando l’oggetto della conversazione era Vita. Come scrisse lui stesso in una lettera inviata nel 2007 all’allora Sindaco Antonino Accardo “Sarà sempre gratificante per me l’orgoglio di aver portato alto il nome del mio piccolo Paese in giro per l’Italia, il mio Grande Paese”.

Jeannette Tilotta